MONZINO

 

L’amico Gabriele Carolè, direttore dell’Ateneo della Chitarra, mi ha affidato uno strumento che una sua allieva gli ha portato al fine di verificare se fosse possibile – e se valesse la pena – provvedere al suo restauro.

A una prima occhiata i danni mi sono sembrati davvero seri: una caduta aveva provocato la rottura del tallone e la conseguente frattura (complice la tensione delle corde) di entrambe le fasce per una lunghezza di una ventina di centimetri, seguendo irregolarmente la vena del legno; inoltre, uno scollamento della fascia sinistra dal piano armonico nella parte bassa, sotto il ponticello, aveva provocato la frattura della tavola e la fuoriuscita di una fetta di legno e dei relativi filetti.

Questo solo a prima vista; anche se ignoravo quello che avrei trovato all’interno, ho accettato di buon grado l’incarico, anche perchè la chitarra aveva un’aria vecchiotta che mi ispirava, non foss’altro per il nome che avevo intravisto sul cartiglio, all’interno della buca; il nome Monzino fa parte della storia della liuteria italiana e in quella bottega hanno operato e si sono fatti le ossa molti celebri liutai, due fra i tanti Carlo Raspagni e Mario Pabè; a Milano, in via Larga, presso il Teatro Lirico, alcuni anni fa c’erano le vetrine del più famoso negozio di strumenti musicali della città, dove nei primi anni ’60 ho comprato la mia prima chitarra, uno strumentino modesto che avevo pagato settemila lire; il negozio ora non c’è più, ma il nome è ancora celebre.

Una volta smontate le corde e le meccaniche, ho scollato il fondo, con relativa facilità; la colla a suo tempo utilizzata era infatti di tipo animale applicata a caldo quindi, con una spatola sottilissima, piccoli spruzzi d’acqua indirizzati nell’apertura praticata e un soffio continuo di aria calda mirato a sciogliere la colla, nel giro di circa tre ore ho aperto lo strumento.

Ho potuto così leggere per bene il cartiglio e ho realizzato che mi trovavo in presenza di una chitarra storica; l’indirizzo del costruttore, via Adua, 20 – Milano, è stato rivelatore; la via Adua non esiste più dalla fine della seconda guerra mondiale in quanto faceva parte della toponomastica cittadina realizzata durante il ventennio fascista e il nome è stato pertanto cambiato dopo la Liberazione; come altre vie – corso Matteotti, ad esempio, era in precedenza “corso del Littorio” – la via Adua è diventata via Larga e pertanto quella chitarra costruita nei locali dell’Antichissima Casa Monzino & Garlandini fondata nel 1750, risale ad oltre settant’anni fa.

Ho trovato un interno in ordine, catene, controfasce e raggiere ben salde come lo spesso zocchetto; sulla striscia di rinforzo al centro del fondo ho notato un piccono marchio a fuoco con la sigla Mogar (Monzino & Garlandini) e il numero 687; il marchio è riportato anche sulla parte posteriore della paletta.

Dopo un’attenta pulizia dalla polvere accumulata negli anni, ho ricomposto le fratture delle fasce e del tallone con un’accurata incollatura mediante colla alifatica; ho anche irrobustito il tallone con una vite di ottone lunga otto centimetri la cui testa risulta celata sotto lo scudetto del fondo; all’interno delle fasce ho incollato, controvena, una serie di piastrine quadrate in legno di cipresso, spesse un millimetro e larghe circa due centimetri, lungo tutto il tragitto delle fratture.

Sul piano armonico ho ricomposto i filetti bianco-nero-bianco incollandoli di nuovo tra la fascia e la tavola, incollando all’interno una striscia di piallaccio di abete lungo la frattura.

Una volta reincollato il fondo, dopo avere riparato due piccole crepe in corrispondenza dello scudetto, ho tolto la vecchia vernice, in più punti scrostata, con un liquido sverniciante e ho carteggiato tutta la superficie togliendo, ove possibile, i segni dell’uso, fino a raggiungere la giusta levigatezza per la lucidatura a gommalacca.

Ho infine rinsaldato il ponticello che risultava scollato su entrambe le ali e provveduto alla rettifica della tastiera. Le meccaniche sono state ripulite, lubrificate e lucidate e, una volta montata una muta di corde Dogal, la chitarra ha ritrovato la sua voce.

La giovane proprietaria è rimasta molto soddisfatta e mi ha ringraziato per il lavoro compiuto sullo strumento che, negli anni ’50, ha contribuito alla nascita della “love story” tra i suoi genitori.